Come alcuni di voi già sapranno, da un articolo pubblicato in questi giorni sulle pagine di “Cultframe” è nata la proposta di tentare un pubblico dialogo che abbia come oggetto “la fotografia italiana”, dal momento che questa attualmente si trova ad essere un mondo – cito testualmente – “particolarmente chiuso e conservatore nonché estremamente timoroso (e quindi non avvezzo al confronto di idee); è un mondo che si nutre di luoghi comuni, fraintendimenti, provincialismo e di quello che io chiamo, senza mezzi termini, regime”.
Il perché lo sia, Maurizio De Bonis lo argomenta in maniera molto chiara e circostanziata nel suo scritto al quale sono di spunto le parole che Sandro Iovine ha pronunciato qualche mese fa nel corso di un’intervista in tre parti, curata e messa on line da “Idee in Bianco e Nero“.
Per questo motivo De Bonis si è rivolto proprio a Iovine nel tentativo di avviare un dialogo sulla fotografia, trovando il giusto sostegno nel blog di questi al suo intento di smuovere le acque e allargare il dibattito. Dibattito che – di fatto – ha cominciato a prender corpo sul blog di Iovine, un vero luogo eletto per tali discussioni, a partire dal suo nome: “Fotografia: parliamone!”. Lo trovate cliccando qui.
Per quanto concerne l’andamento attuale di questo dibattito, vorrei rilevare, innanzi tutto, una generale accoglienza positiva verso tale proposta di dialogo, oltre che la pressoché totale adesione agli assunti che De Bonis propone quali premesse: prima fra tutte l’insofferenza verso un cosiddetto “regime”, gestito da (cito ancora l’articolo) “mondo del giornalismo e della comunicazione, taluni organizzatori di corsi e workshop, alcune riviste di fotografia, agenzie, circuito amatoriale, nonché accademie e università”, di modo che “ognuna di queste realtà, nel suo settore di competenza, contribuisce a creare un clima di chiusura spaventoso, un labirinto che nega sistematicamente la libertà espressiva e che forma (si fa per dire) generazioni di fotografi che non riescono a vedere oltre la punta del loro naso”.
Fra coloro che sono intervenuti, i più sono desiderosi di cambiamenti, alcuni addirittura di riscossa. Per fortuna, sono pochi coloro che paiono arrendersi ai fatalismi del “niente può cambiare: inutile anche provarci”!
Le proposte, però, quelle concrete intendo, invece, pare sia un po’ arduo formularle. L’unica parrebbe quella di creare un luogo virtuale, dove si possa da una parte mantenere aperto e sempre vivo il dialogo, dall’altra depositare i contributi di chi voglia “fornire indicazioni utili e approfondimenti a chiunque desideri studiare il fotografico e le sue innumerevoli relazioni con la realtà”.
De Bonis stesso è poi intervenuto in sede di dibattito per tentare di mettere a fuoco alcuni (ben 20!) punti sui quali si potrebbe opportunamente dibattere, che propongono in realtà altrettante problematicità nelle quali fatalmente ci si può imbattere occupandosi o semplicemente interessandosi di fotografia.
Un tale elenco, proposto più che altro per alimentare un dibattito, ha l’aria però di richiedere risposte troppo concrete in una fase che sembra ancora quella di un generico approccio all’altrettanto generica questione fotografia. E le parole con le quali De Bonis lo glossa paiono accendere uno spot su di un baratro nel quale la fotografia è sprofondata, a causa delle solite baronie che in Italia stritolano e soffocano ogni campo, e getta una luce veramente sinistra che forse rischia di sostenere i molti scettici adusi a cullarsi nel “non c’è più niente da fare”.
Da parte mia, al di là delle considerazioni che potrei fare su ciascuno dei 20 punti (ognuno dei quali richiederebbe ampie risposte) ribadisco qui – come ho già fatto là – il principio che tutto debba partire da una diffusa (il più possibile!) educazione all’immagine, la quale tenga conto degli elementi costitutivi del linguaggio visivo, del suo abc.
Trovandomi a commentare sul blog di Iovine per esprimere questa mia idea ho usato una frase che si è rivelata infelice: “alfabetizzazione delle masse riguardo alla fotografia”. Frase infelice perché ampiamente fraintesa a causa dei concetti che sono stati “appiccicati” nel corso degli anni alle parole “alfabetizzazione” e “masse”, le quali di per sé non hanno affatto per loro natura le valenze che ormai gli si attribuiscono.
Tra parentesi, a tal proposito, mi permetto di notare, che anche un termine tanto caro a De Bonis (quello di “regime”) con tutte le sue tragiche ulteriori valenze politiche ed emotive si presta al fraintendimento di chi potrebbe voler trasformare questo dibattito, colorandolo di tinte politiche che di per sé non dovrebbe avere.
Questo episodio ha rafforzato la mia opinione che si debba partire da un’analisi la quale coinvolga tutti i fondamenti della comunicazione visiva, che oggi si danno erroneamente per scontati, proprio come per scontato si dà il significato strumentale di una parola perdendone sovente la sua più autentica accezione semantica.
Così, come nel linguaggio verbale, anche in quello visivo e più in paticolare fotografico è diventato sempre più necessario ridefinire chiaramente certi termini.
Di questo non credo si possa fare a meno se vogliamo davvero creare la possibilità non di un’unica, ma del più ampio spettro possibile di valide alternative all’attuale monolitico ( e granitico!) mondo della fotografia italiana.
La vera libertà, che ci auspichiamo non nasce forse dalla possibilità di essere consapevoli delle proprie azioni e responsabili per esse?
Non vorremmo – spero – combattere l’attuale “regime” per sostituirlo con una “democrazia”, dove (come nella orwelliana “fattoria degli animali”) tutti sono uguali, ma alcuni (magari proprio noi!) sono “più uguali degli altri”!
Perdona la vanità Rosa Maria, ma, visto che la proposta sul luogo virtuale che citi (“fornire indicazioni utili e approfondimenti a chiunque desideri studiare il fotografico e le sue innumerevoli relazioni con la realtà”) è mia e, per di più sono anche il tuo “persecutore” sui termini “masse” e “alfabetizzazione”, non ho resistito al bisogno di leggere anche il mio nome da qualche parte in questo tuo post riassuntivo.
Un caro saluto e a presto!
Fulvio
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Ma figurati… bisogna pur “rendre a César”!
Speriamo che il post oltre che a riassumere serva anche a rilanciare.
A presto e buon riposo 😉
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Ora mi sento decisamente meglio Rosa Maria 😉
Devo però purtroppo constatare che il dibattito langue.
Certamente scrivere commenti ad un post su un blog non è il modo migliore per dialogare, ma mi sarei aspettato un poco più di partecipazione. Cosa ne dici di mettere in calendario, con Sandro e Maurizio, un primo incontro aperto a tutti, magari a metà strada tra Milano/Torino e Roma? Giusto per cominciare concretamente a fare qualcosa?
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A proposito di fotografia: a bari c’è una mostra interessantissima che vede coinvolti 85 bambini alle prese con macchine fotografiche e scatti alla loro città
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Chiedo scusa per un intervento che non entra nel merito, ma che pone l’accento sul metodo.
Ma cosa vuo dire “dibattere” sulla fotografia e sui 20 (sic) punti proposti dal De Bonis? sono intervenuto sul sito di Iovine, ma di dibattito non se ne vede un granchè, qui langue, come dice anche Fulvio. Pensate che i blog siano luogi per dibattere? se si, come mai non accade, se no, perchè si lancia un dibattito sui forum e sui blog…?
Siamo sicuri che così posta la questione da de Bonis, non rischi di diventare una nuvola di fumo, perchè non considera i modi con i quali un dibattito possa avvenire?
Mi sembra che alla fin fine tra i soliti noti blog il messaggio circoli, ma non molto di più.
Forse sono altre le sedi del dibattere e sono altri i modi…
marco
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Ho visitato i vari blog nei quali si “dialoga sulla fotografia” e ho anche lanciato la discussione nella pagina del gruppo CultFrame di Facebook – http://www.facebook.com/group.php?gid=34445868006#/topic.php?uid=34445868006&topic=7120.
Per come vedo io le cose, il dibattito non langue ma è solo troppo spezzettato.
Le richieste di organizzare un incontro sono arrivate da molte parti e Maurizio De Bonis e Sandro Iovine stanno valutando la possibilità di realizzarne uno al più presto.
Mi piace constatare che molti sono impazienti e questo è già un ottimo segno ma penso che sia chiaro a tutti che organizzare un evento del genere con serietà e professionalità richiede tempo.
E’ bene che non si fermi la riflessione (anche extra-web) sul tema e che il tempo di attesa di un eventuale incontro serva per maturare delle idee che possano servire per una discussione costruttiva.
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Il fatto che sia spezzetatto dipende, credo, proprio dal scegliere la comunità virtuale come luogo del dibattito, e, soprattutto, dal mettere troppa carne al fuoco.
Se si vuol dibattere servirebbe:
– un tema, o pochi temi, più definiti su cui dibattere
– qualcuno che ogni tanto animi/conduca il dibattito
– un luogo oltre a quello virtuale, anche fisico dove discutere/confrontarsi, e su questo da più parti arrivano le proposte.
Aggiungerei un presupposto all’intera faccenda; non credo ad una contrapposizione tra un regime e qualcuno che si mette contro il regime (la parola stessa presuppone un antagonista) anche perchè questo regime non é descritto da nessuna parte e lo stesso De Bonis fa riferimento a situazioni in modo implicito e troppo generico, per cui o le conosci o non capisci, ma credo che valga la pena di affermare un proprio modo di intendere cos’è la fotografia e su questo produrre un azione.
Perchè dette come vien detta nel suo articolo é difficile rispondere, intervenire. Personalmente non sono d’accordo quasi su quasi nulla, ma più che non esser d’accordo su contenuti specifici, non sono d’accordo sull’impostazione e allora discuto di quella, perchè dei contenuti non saprei a cosa far riferimento se non a considerazioni generiche. Che valgono anche per la musica, il teatro, la danza, la scienza, la poesia, ecc, ecc. E la cosa bufa é che molti si sono detti d’accordo. Ma su che?
E’ che non ho mai visto un dibattito decente se non a partire da una questione abbastanza definita. E dire che c’è un regime non é definirla.
Spero di essermi spiegato e su cosa penso sia importante spostare l’asse della discussione.
marco
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Sono in parte d’accordo con Marco sulle modalità con cui alimentare un dibattito. Mi trovo in disaccordo invece sulla poca comprensione delle prospettive generali poste da De Bonis e portate avanti anche da Rosa Maria Puglisi. Non penso che non si riesca a capire a quale regime ci si riferisca, anche perchè la tipologia stessa del dibattito lo mette in luce. Se questo dibattito è contro il regime, il regime non può essere altro che tutto ciò che è uguale e contrario ai temi proposti: se si parla di alfabetizzazione, o diffusione della cultura fotografica, il “regime” sono i luoghi e le situazione dove questo deliberatamente e più o meno coscientemente questo non avviene. E sono tanti, più o meno percepibili. E la cosa positiva di questo tipo di discorso è che giustamente tu rilevi che gli aspetti generali sono condivisibili anche da altre pratiche, proprio lì sta il punto. Personalmente guardo con fiducia a questa discussione perchè viene messa in luce una “radicalità” di proposte che spero possa finalmente confluire nella coscienza che non ci si può occupare di microaspetti o piccoli cambiamenti in seno a una singola pratica espressiva, ma che si deve attuare un movimento di rottura con le basi della cultura italiana, in ogni campo. Risolvere le problematiche relative alla fotografia non servirebbe a nulla se non viene attuata quella “alfabetizzazione delle masse” (che io trovo felicissima affermazione), che includerebbe un discorso sull’immagine in generale, che altro non è a sua volta che parte di un discorso sociale molto complesso. La fotografia può essere testa di ponte di un sistema linguistico dell’immagine (d’estrazione necessariamente sociale) da reinventare. Senza timore o paura. La dimostrazione di questa necessità atta al cambiamento si rivela nella stessa possibilità di fraintendimento delle parole/frasi che Puglisi utilizza nel suo articolo; questo non può e non deve avvenire, perchè necessariamente il linguaggio dovrebbe essere interpretabile nella giusta accezione da tutti (salvo scivoloni grammaticali o sintattici che non mi paiono presenti nell’articolo citato…). E per giusta accezione intendo quella intesa dall’autore, senza manipolazioni successive di colorazione politica.
Mi permetto inoltre di avere fiducia nel fatto che tutti questi tentativi d’aggregazione confluiscano poi naturalmente in un luogo “deputato a…” sia reale che virtuale. In fondo i ragazzi di Frigidare si sono trovati così, poi hanno rivoluzionato una parte dell’immaginario…
P.S. Rosa Maria Puglisi, spero tu abbia letto su Bianco e Nero i motivi della mia risposta sul topic di Flickr, come promesso sono giunto anche qua. Spero utilmente 🙂
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Grazie Jonathan della risposta. Provo a mia volta aggiungere qualche elemento per sipegarmi meglio.
Non mi convince il discorso sul regime per alcune ragioni. Provo a fare un esempio, che ho scritto anche sul blog di Iovine. In questi anni il dibattitto sul Fotografico, sul rapporto tra fotografia e ready made, la ricerca dell’ontologia della fotografia, l’uso “limitato” di Peirce e di Barthes, una scarsa conoscenza del contributo della semiotica greimasiana e di quella seguente, allo studio della fotografia come sistema, ha, a mio parere, impoverito il dibattitto stesso sulla fotografia. Nel libro di Marra, coem in quello di Signorini, sui contributi teorici allo studio della fotografia non viene nemmeno citato Floch con il suo “le forme dell’impronta” ne tantomeno Fontanille e i suoi studi sul corpo della fotografia. Il dibattito a distanza tra Marra e Costa (leggittime posizioni, sia chiaro) sulle definizione di impronta e sul rapporto con il digitale rischia di essere così “cieco” da non dare sostanza alle diverse pratiche della fotografia, alle sue diverse espressioni, in altre parole anche alla dimensione comunicativa della fotografia. Attenzione, é proprio Iovine a far rifermento sia ad un assenza nell’uso della semiotica (ma di quale?) nella lettura della fotografia, sia nell’approccio alla comunciazione (sebbene sono convinto che se approfondissimo un po cosa vuol dire semiotica e comunicazione non é detto che ci troveremmo d’accordo, ma varrebbe la pena farlo). Il libro di P.F. Frillici “Sulle strade del reportage”, pur provando a dare un senso autoriale al reportage dei tre fotografi, riporta la fotografia sotto l’ala dell’arte, come dire, la fotografia non può diventare grande, perchè non autonoma. Ovvio, sono mie letture e idee. Ma se guardo a questa situazione, potrei dire che c’è una condizione lobbystica straordinaria, che nega l’esistenza di una parte di una branca di studi di assoluto livello e qualità. Siamo vicini al regime. Ma non credo di trovare accordo su questa natura del regime. Ho detto che potrei chiamarlo regime, ma in realtà non credo che lo sia (sicuramente é una lobby) credo che in certi momenti, giusto per fare un esempio, la semiotica di scuola francese non ha voluto farsi sentire. Ora che ci sta provando infatti le cose stanno cambiando, perlomeno dal puto di vista della presenza di posizioni differenti, ma anche di una ricerca di terreni comuni tra queste posizioni.
E’ che anche tra noi non so quanto terreno comune ci sia, non escludo che su diverse cose la si pensi molto diversamente.
Diverso é se il discorso viene spostato sul piano del sistema culturale. Ma questo é un paese che paga alcune arretratezze. Ma guarda la musica in che stato é ridotta…allora il discorso, che sostieni anche tu, si dovrebbe collocare su un piano diverso, appunto quello del sistema culturale. Non so, su questo piano ho le mie fatiche…perchè é un piano veramente complicato. Personalmente credo molto di più alla costruzione di “contesti culturali locali”, alla realizzazione di “spazi di condivisione del pensiero e dell’azione” e alla loro seminazione e moltiplicazione. Nelle loro diversità. Guardo con sospetto “l’alfabetizzazione delle masse” perchè non so chi dovrebbe alfabetizzarle, con quali logiche, su quali contenuti. Perchè quando mi parli di discorso sull’immagine in generale e lo si applicasse a questa alfabetizzazione, a quale “discorso sull’immagine” si farebbe riferimento? Preferisco che sia dia vita ai diversi discorsi sull’immagine, perchè di diversi ne esistono. Sbaglio ad interpretare le parole della Puglisi e quelle di De Bonis? scusa ma proprio perchè il linguaggio vive e si sviluppa anche nel suo uso sociale, usare quelle parole vuol dire mettere in campo molto probabilmente solo certi significati. Si voleva dire altro? chiederei anche alla Puglisi e a De Bonis di spiegarle meglio, quelle parole. Per una ragione, perchè un dibattito ha bisogno di un terreno di condivisione di alcuni significati, altrimenti si va a ruota libera.
Infine, aggiungerei anche che con queste differenze, perlomeno in questo contesto, entrambi possiamo utilizzare la parola cambiamento, ma non per questo la direzione del cambiamento é la stessa.
Sui tipi di Frigidare, avevano un’idea molto precisa e avevano un regime dall’altra parte, chiaro e definibile.
Sia chiaro, evviva i dibattiti.
alla prossima
marco
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solo due piccole note, la prima sulla “alfabetizzazione delle masse riguardo alla fotografia” e la seconda sulle “tinte politiche”.
Io, come credo molti altri lettori, mi sento di far parte della vituperata massa e non mi dispiacerebbe affatto ricevere una sorta di “alfabetizzazione”, piu’ sul sul linguaggio fotografico che sulla fotografia, di consenguenza non ritengo affatto infelice la frase e tantomeno l’intento. credo sia uno sforzo che vada fatto, anche se ne comprendo la difficolta’.
Non capisco invece perche’ non ci dovrebbero esser “tinte politiche”. Fotografare, cosi come ogni altra azione della nostra vita (dalla scelta di un supermercato o di un prodotto invece di un altro) e’ un atto politico. Credo non si debba esser aprioristicamente schierati, questo si, e che si debba conservare in ogni caso la capacita’ di discernimento, ma una macchina fotografica in mano ci permette di esprimerci con un linguaggio, ci porta a delle scelte che risultano comunque “politiche”, o no?
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Bene, vedo che un po’ di dialogo in realtà riesce ad esserci.
Penso però che il discorso si stia allargando troppo e in troppe direzioni.
Provo a portare un contributo per rimetterlo su binari, magari minimali, ma più pragmatici.
L’appello luterano di Maurizio De Bonis non mi pare che sia ispirato da raffinate diatribe semiologiche e nemmeno andrebbe inteso come una chiamata all’educazione delle masse analfabete contro l’oscurantismo del potere.
Mi pare che la questione sia più “terra terra”.
In buona sostanza, penso che Maurizio rilevi come l’attuale sistema della fotografia italiana (autori, associazioni, agenzie, gallerie, critica, università, editoria, ecc. ecc.) tenda a costituire delle “lobby chiuse”, per altro in perenne lotta tra loro, che includono ed escludono le persone non in base alla qualità del loro lavoro, ma all’appartenenza o meno all’ortodossia che ognuna d’esse proclama.
Risulta evidente che in una simile situazione mettersi a discutere su come fare per costituire la “lobby dei refusées”, di vago sapore tardo ottocentesco, non porta ad altro che a legittimare ancor più la situazione presente.
Per questo motivo ritengo che sia più utile dibattere su come creare spazi d’apertura, zone nelle quali possano essere presentati e discussi i lavori di autori che non siano né “giovani”, né “emergenti” (categorie ormai svuotate di ogni senso concreto), ma semplicemente “interessanti”.
La vera questione su cui far surriscaldare le meningi di tutte le persone di buona volontà propongo quindi che sia la seguente:
Quale criterio di selezione, e quale metodologia, possono garantire pluralità reale di voci e il contenimento al minimo fisiologico della barriere d’accesso solitamente erette dai “selezionatori”?
Ritengo che se non si trova un sistema innovativo su questo punto, ogni iniziativa è destinata ad implodere nell’ennesima consorteria di compagni di merende. La nostra simpatica Repubblica democratica sembra difatti ostinatamente fondata sulle relazioni personali invece che sul lavoro. Con buona pace dei suoi Padri costituenti.
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Per provare a definire ancora meglio il discorso…”la raffinata diatriba semiotica” era solo un esempio per far capire come in realtà ci sono, appunto, lobby che premono da più parti. Mi sembra che anche tu, se non leggo male, non evidenzi una contrapposizione tra un potere e resistenti, al punto da porporre “spazi d’apertura” che non mi sembrano tanto lontani dagli “spazi di condivisione del pensiero…”. Se questa é una strada ben venga.
Vedrei, in questa fase, uno spostamento del dibattito in sedi fisiche dalle quali ripartire per continuare il confronto in aree anche virtuali, ma con qualche chiarezza sul che cosa e sul come, argomenti che andrebbero definiti appunto in quella sede fisica.
Diversamente, continuare a restare nel virtuale lasciando la discussione all’autoregolamentazione….non saprei, certi contenuti un po approfonditi li vedo male discussi nel web. Ma posso essere smentito.
alla prossima
marco
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Intanto sono molto contento di aver fatto “saltar fuori” questa tirata semiotica a Marco, veramente molto interessante seppur necessariamente limitata. Mi dispiace che le mie conoscenze sull’argomento si fermino molto prima, comunque cercherò d’approfondire alcuni tuoi spunti interessanti. Sono d’accordo sulla risposta a Fulvio sempre da parte di Marco, anch’io vedrei bene uno spostamento su piani fisici di un discorso che può essere ampliato sul versante virtuale. Aggiungo comunque una nota a Fulvio: quello che ho cercato di mettere in evidenza nel mio post precedente, che si riallacciava all’articolo della Puglisi ed è stato ben rilanciato da Marco è proprio una presa di posizione sul campo, e molto terra-terra, della problematica metodologica e dei criteri di selezione. In parole povere: non si può oramai più contrapporsi a lobby (o regimi, o generici opposti…) attraverso una proposta di apertura di spazi d’interesse o zone di discussione. Penso che il problema vero sia una riformulazione totale a livello sociale. E giustamente Marco rileva come ci siano belle fatiche nel momento in cui si allarga il problema/dialogo al piano culturale(che non riesco a vedere distinto da quello sociale)…ma tant’è che mi sembra necessario. Certo, i terreni in comune possono essere differenti, ma non è un rischio di cui occuparci in questa fase. Perchè se io spremo le meningi su come creare spazi interessanti (e senza virgolette!), comunque il pensiero vola a cosa è interessante. Se anche dovessimo arrivare al punto di discutere su spazi virtuali/reali o spazi locali/internazionali o spazi autofinanziati/sponsorizzati, tanto per fare esempi, poi mi troverei di fronte a problematiche che già ho visto spesso accadere in Italia: ovvero cerco di uscire dal sistema lobbistico delle immagini per entrare in un altro sistema lobbistico a cui però affibio la denominazione di underground. Questo mi scoccerebbe parecchio (ovviamente la denominazione underground è solo un esempio, a volte vi sono anche cose ben riuscite e degne di nota). E allora penso che termini come cultura del linguaggio e alfabetizzazione dovrebbero essere ri-affrontati alla luce di ciò che ci circonda. Si può restare a un livello comune e cercare di portare avanti il dialogo in una direzione teorica senza perdere di vista un obiettivo pratico. Nessuno vieta di “dividersi i compiti”: io personalmente sono una frana dell’organizzazione, ma se qualcuno mi dicesse “apriamo un centro per la fotografia” sarei il primo ad andare a dipingere le pareti. Ma non lo farei se le premesse teoriche di base non fossero almeno in buona parte condivisibili, quindi provo a portare il mio contributo su un piano che mi sembra a me più affine, al momento.
Due parole infine per il bel problema di Mario Macaluso: il problema di “tinte politiche” non sta tanto nella parola “politiche”, che di per sé mi piace molto e son d’accordo con te nel ritenere la fotografia è (come tutto) un atto politico; ma in “tinte” che riconduce a un’idea di, appunto, tinteggiatura superficiale e colorazione a posteriori. Se s’organizza un discorso non è bello che qualcuno ti venga a mettere in bocca questioni che, per quanto implicite nel modo in cui s’è scritto, non vengano direttamente toccate. Ogni cosa a tempo debito, eppure penso proprio che primo o poi l’annoso problema “Leni Riefenstahl è stata una grande artista eppure era una collaborazionista attiva del nazismo” dovrà saltare fuori. Però non in questa sede…se no la carne al fuoco diventa veramente tanta….
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L’affare s’ingrossa!
Mi fa piacere che tre gatti abbiano trovato il tempo e la voglia di tirarsi su le maniche della mente per discutere con rispetto e passione delle reciproche tesi, non necessariamente contrapposte.
In attesa che altri elaborino proposte più strutturare, che ne dite di trovarci da qualche parte di persona a scambiare pernsieri?
Io sono di Torino, Marco penso anche. Tu Jonathan e tu Mario di dove siete?
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Effettivamente fa piacere vedere che a poco a poco le cose si muovono… e fa piacere constatare la buona volontà, e quasi l’impazienza, di poter discutere in maniera più approfondita di quanto consentano questi spazi in internet. A quanto vedo comunque internet funziona benissimo come mezzo di aggregazione fra gente che altrimenti difficilmente s’incontrerebbe vista la distanza geografica. Posso già risponderti io, Fulvio, Jonathan vive a Piacenza, Mario a Palermo… 🙂
Come diceva, d’altronde, Orith i promotori di questo dialogo stanno già pensando ad un incontro nel mondo reale.
Per il resto che dire? Condurre un dibattito serio è qualcosa di estremamente complesso. Mi pare che spesso ci si soffermi su dettagli che andrebbero definiti in un secondo momento col rischio sempre incombente che il discorso deragli su altri binari, come notava Fulvio. Ma sicuramente dipende da un’impazienza, che deriva da insofferenza dello stato delle cose attuale e voglia di contribuire a cambiar le cose…
Le parole, come abbiamo visto, hanno il loro peso. Hanno un significato proprio e altri strumentali.
I fraintendimenti e le “tinteggiature” ideologiche (più che politiche) sembrano qui, come in ogni luogo dove si dovrebbe discutere, l’elemento più evidente. Ciò che accade qui accade altrove, però è molto consolante vedere che qui alla fine si “vuole” davvero dialogare e non, come accade in altre sedi, lanciare opposti proclami.
A volte, più che parlare per affermare le proprie convinzioni, risulta utile ascoltare quelle altrui.
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Io sono di Piacenza, ma spesso di passaggio a Bologna dove studiavo fino a qualche mese fa…
Però adoro Torino, e dovrei anche venirci a breve per vedere la Triennale, in particolare Olafur Eliasson (penso si scriva così…non ricordo mai)
Ovviamente tiro acqua al mio mulino(e in particolare al mio portafoglio da cui escono farfalline….) e vi dico che a Piacenza fanno degli ottimi tortelli (lo so, uno prova a fare l’intellettuale e poi si butta sul cibo appena può…).
Tutto questo per dire che un incontro è ben accetto.
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I messaggi si sono sovrapposti, per cui una doppia risposta a Fulvio. Diciamo che ho aggiunto qualche notizia sui miei spostamenti.
Rosa Maria, mi permetto una precisazione a ciò che hai scritto, anche se forse questo confermerà solo alcuni dubbi su dettagli definibili in un secondo momento. Non additiamo all’impazienza o all’insofferenza quello che io vedo solo come fluidità delle idee e del dialogo. Cerchiamo anzi di concepire tutte le idee come mezzi e risultati di un’analisi. Attenta sempre e spesso lucida. Vedo quello che hai scritto come un giusto intervento dell’organizzatrice (e non solo!!) del forum, ma almeno tra noi, cerchiamo di vedere l’altra idea come lucidità, anche se generata dall’insofferenza. Scusatemi ancora per questo fuori tema, però mi sembrava, almeno per me, molto importante.
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Concordo con Jonathan…non credo sia impazienza. Si é lanciato sui forum una discussione e si é risposto, (diversamente non si lanciano discussioni) e non credo che ci siano tanti diversi modi di intendere una discussione se non discutere, presentare le proprie idee, rispondere, farlo in modo onesto e rispettoso delle idee altrui. Affermando anche i limiti della stessa discussione. Detto questo sono di Torino come Fulvio ha detto, credo che tu abbia capito chi sono…sebbene non ci conosciamo di persona.
Conosco i tortelli di quelle parti, (nasco e vivo per 20 anni a Cremona) sebbene nel mantovano si trovano i migliori. Ma ti assicuro Jonathan che a Torino, oltre alla Triennale, c’è il miglior cioccolato del mondo, dei piatti e del vino semplicemente fantastici e se serve anche dell’ospitalità (abbiamo posto).
Sentiamoci.
marco
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Benissimo, allora non c’è impazienza… forse nemmeno insofferenza rispetto allo stato attuale delle cose!? Ho equivocato evidentemente il tono, si trattava di speranza di dibattere.
Nel pubblicare il post cui state rispondendo ho creduto di rilanciare la questione posta da De Bonis e Iovine, cercando da una parte di descrivere le immediate reazioni alla “proposta di dialogo”, dall’altra di segnalare quella che ritengo essere una necessità: dare strumenti a tutti indistintamente, non solo a chi per passione o professione si avvicini alla fotografia, per orientersi nel linguaggio visuale o, se preferite, nei linguaggi visuali.
In realtà, probabilmente, facendo questo sono anche andata “fuori tema” rispetto ai discorsi di De Bonis, del quale qui mi pare si tenti di farmi passare per portavoce. Il suo discorso era più concreto e riguardava – per così dire – l’attuale “inagibilità” (se non per pochi eletti, attraverso amicizie e clientele) del mondo fotografico in Italia.
Ma a me preme l’altra questione, che penso smuoverebbe il sistema dal basso.
Marco esprime così i suoi dubbi su quanto dico: “Guardo con sospetto “l’alfabetizzazione delle masse” perchè non so chi dovrebbe alfabetizzarle, con quali logiche, su quali contenuti. Perchè quando mi parli di discorso sull’immagine in generale e lo si applicasse a questa alfabetizzazione, a quale “discorso sull’immagine” si farebbe riferimento?”
Sopra avevo già rinunciato alla magniloquente “alfabetizzazione delle masse” in favore di una più neutra “educazione all’immagine”, e tuttavia alla prima definizione la gente pare essersi affezionata, nel bene e nel male, quindi forse non era tanto infelice.
Caro Marco, proverò a risponderti, anche se qualcosa mi fa pensare che non troverai soddisfacente la mia risposta.
Innanzi tutto credo che ogni tentativo di analisi critica sia lecito (non solo un approccio semiotico, tanto meno quello legato ad una particolare corrente) e che sia utile ad arricchire la comprensione di un’opera.
Del resto la semiotica, in quanto studio di segni, è soggetta a svariati codici, che mutano tanto spostandosi sull’asse del tempo quanto su quello dello spazio.
Credo quindi che per ogni opera si dovrebbe cercare, di volta in volta, la giusta chiave di lettura, senza cadere nella tentazione di infilare tutto nella stessa categoria di pensiero.
Più che di “discorso sull’immagine” si dovrebbe parlare di “discorso sulla comunicazione per immagine”.
In un simile discorso ricadono tanto le conoscenze tecniche, quanto quelle linguistiche, ma pure – direi – una possibilità di valutare l’impatto dell’immagine attraverso criteri percettivi, sociologici, iconologici e perfino psicoanalitici.
Questi, a mio parere, sarebbero i principali contenuti. Il livello di approfondimento dei quali può essere molto variabile, ma non mi pare che si possano ignorare del tutto se si stia ricercando una consapevolezza nel fare o fruire un’immagine.
Chi dovrebbe fornire tale alfabetizzazione? Tutti quelli che possano (perché dispongono di quelle nozioni) e vogliano farlo (perché lo ritengono utile). Sicuramente alcune persone sono in grado di approfondire certi aspetti, piuttosto che altri.
Si tratterebbe di condividere e far circolare dei saperi. Il fatto è, però, che vedrei molto più utile che una simile diffusione di conoscenze avvenisse nelle scuole medie o persino in quelle elementari.
Parlare di regime e di politica… Preferisco lasciare il campo ad altri, non perché non creda nell’impegno sociale (al contario), ma perché credo che in tempi come questi porti solo a divisioni, a fazioni, polemiche e preconcetti, tutte cose poco utili se si vuol costruire qualcosa insieme.
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Curiosi i corsi e i ricorsi storici. Nella mia attività professionale, alla fine degli anni 80, collaborai con una società di Ferrara che si occupava di educazione all’immagine, più in particolare di modelli di didattica sull’immagine. Lo dico per darti anche una risposta alle considerazioni sull’opportunità “educazione all’immagine” sin dal ciclo delle scuole elementari. Hai solo ragione. Andrebbe fatta, con continuità, con tutti i modelli educativi e didattici che oggi abbiamo a disposizione. In questo paese é stata fatta, da sempre esiste una letteratura in materia, così come esistono una quantità di esperienze significative in questo settore. Certo, oggi é un po più complicato, anche, ma non solo, per un deterioramento qualitativo generale, nella scuola e fuori dalla scuola. Ma se la scuola é il luogo privilegiato di questa educazione all’immagine, ricordo solo i numeri con i quali si ha a che fare, sia per quanto riguarda la formazione degli insegnanti sia per quella degli studenti. Allora non é più una questione legata a chi vuole farla e chi può, ma legata ai modelli educativi che una classe dirigente, politica in testa, vuole perseguire e che coinvolgono l’intero sistema.
Ma solo per dare una dritta, chiedete in giro quali sono gli esperti consultati sia per la riforma recente della scuola e per la proposta sulle classi ponte. E chiudo qui, altrimenti cambiamo tema (sebbene se si vuol parlare di scuola é difficile non entrare nel merito anche sulle politiche della scuola che i governi mettono in campo).
Per cui, concordo in linea generale con quello che dici per quanto riguarda il fronte scuola.
Aggiungo una precisazione. L’esempio riportato sulla semiotica non vuole mettere questa disciplina davanti alle altre. Volevo solo dire che semmai é accaduto che da parte della critica fotografica in Italia é stato fatto proprio il contrario: usarla male, snobbarla, dimenticarla. La letteratura esistente sta li a dimostrarlo.
Curiosamente proprio i principali studi semiotici, sia quelli di Floch, ma più ancora quelli di Fontanille, mettono in campo feconde relazioni con altre discipline, dagli studi del Wolfflin usato da Floch, all’influenza del pensiero di Merleuy-Ponty sul discorso della percezione e del sensibile. Trovi traccia di questo discorso nei libri che “vorrebbero” raccontare le teorie sulla fotografia, scritti in Italia?
Questo era il senso del mio intervento.
Dal mio punto di vista si potrebbe usare la meccanica quantistica per spiegare l’immagine. In alcuni corsi che tengo utilizzo anche la prossemica per leggere la fotografia, per cui…
Ma andiamo anche avanti. Detto questo penso che le opinioni che stiamo esprimendo siano ampiamente in relazione tra loro. Si tratta, se lo si vuole, di renderle confrontabili, come giustamente proponi.
E direi anche, grazie per l’ospitalità nel tuo blog.
a presto,
marco
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Così come sto facendo per Fotografia Parliamone, sto seguendo il dibattito virtuale su Specchio Incerto. Penso che come sempre accade quando si “rompe il tappo di un vulcano”, i lapilli e la lava vadano in tutte le direzioni. Colgo nel dibattito un po’ di confusione, ma ciò è normale poichè fatalmente la messa a fuoco dei temi di un dialogo virtuale è progressiva.
Per prima cosa vorrei dire che senza alcun dubbio questo confronto on line avrà un concretizzazione in un incontro pubblico, in una riunione di addetti ai lavori, e non solo, che vogliano iniziare a parlarsi senza preconcetti e senza il bisogno di mostrare i muscoli.
Punto secondo. Ci tengo a ribadire come tale confronto abbia la necessità di svolgersi nel rispetto di tutte le opinioni. Se c’è una cosa che odio sono le risse, ancor di più le risse culturali. Quindi dialogo civile, democratico. E soprattutto ascolto (vero) dell’altro
Punto terzo. Fulvio ha azzeccato in pieno il senso della parola regime (nel caso specifico), a cui purtroppo pochi riescono a sottrarsi
Ed ancora. Questo dialogo non nasce per dimostrare quanto si sia intelligenti, colti e/o brillanti, quanto piuttosto per l’esigenza di uscire da un guscio sempre più spesso, determinato da clientele, chiusure e arretratezze culturali (tipicamente italiane) e timori immotivati. Lo scopo è quello di cercare di portare, con i nostri modestissimi mezzi, il movimento fotografico italiano ( o almeno una sua piccola parte) su una dimensione più aperta, positiva e moderna.
Personalmente sento che una cappa soffocante incombe sul movimento fotografico italiano e che l’unico principio che muove tutto è quello che porta ognuno di noi ad essere narcisisticamente più visibile, a mettersi in mostra e ad avere gli alleati giusti.
Cerchiamo di riportare la forza delle idee al primo posto, questa è la mia umile e banale proposta. E possiamo farlo solo se ognuno di noi esce dal proprio guscio e accetta sommessamente il confronto.
L’unica cosa che chiedo è di evitare di dire che tali iniziative non possano portare da nessuna parte. Da qualche parte bisognerà pur inziare e dire che l’obiettivo è troppo di difficile da raggiungere è solo un alibi per lasciare tutto immutato.
Avrei molte altre cose da dire. Concludo solo affermando che i 20 punti da me elencati mi sembrano molto molto concreti. Ne possiamo aggiungere altri se volete. Qualcuno si pone “l’irrisolvibile e drammatico problema” del metodo di discussione. Io dico che non bisogna perdersi in un bicchier d’acqua. Basta inziare ad affrontare i punti (definitivi) uno per volta. In maniera molto semplice e diretta.
Un saluto a tutti e un grazie sincero per la vostra partecipazione al dibattito
Maurizio G. De Bonis
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Si tratterebbe di condividere e far circolare dei saperi dice Rosa Maria. Ed è il mio stesso pensiero. Io x esempio non sono proprio d’accordo sull’esistenza di un fantomatico regime. Ma molto di più sulla mancanza di coraggio nel proporre una visione più moderna, più aperta della fotografia. E’ qualcosa che ha a che fare con il conformismo, i piccoli interessi di parte. Un regime è un complesso di principi e norme che regolamentano in maniera organica un determinato settore di attività. Insomma ci dev’essere un obiettivo, mentre io vedo solo del piccolo cabotaggio, un navigare a vista senza mai esporsi x paura di perdere i frutti del proprio piccolo orticello. Ieri ci siamo visti con fulvio e una prima proposta è scaturita: iniziamo a vedere quanti sono interessati realmente, un bell’elenco di persone disposte a mettersi intorno ad un tavolo a discutere il famigerato che fare? non penso ci sia bisogno di organizzazioni molte complesse (sarò pessimista, ma non vedo masse oceaniche in trepidante attesa), ma semplicemente di un giorno e di un luogo…
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Salve,
sto seguendo la discussione sul blog “Fotografia: parliamone!” e volevo sapere se era possibile raggrupppare il tutto su di un unico blog (se è già stato fatto, è possibile avere il link?). Altrimenti il rischio è di avere risposte incrociate e discussioni parallele in più luoghi e sullo stesso argomento. Grazie.
Luca Carradori
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Non è stato tutto raggruppato su un Blog. La discussione procede su Fotografia Parliamone e su Specchio Incerto e tra poco proseguirà anche su Cultframe (www.cultframe) dove già ho pubblicato un pezzo che ha aperto la discussione insieme all’intervista di Sandro Iovine.
Il prossimo vero appuntamento comunque sarà quello in cui ci confronteremo direttamente, tra non molto. Sarà un modo anche per conoscerci tutti
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Ok, cercherò di seguire tutti i “fronti” 🙂
Aspetto l’incontro (io abito e lavoro a Modena, anche se sono di Pistoia).
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