copertinaTerza uscita nella collana ‘round photography della bolognese Editrice Quinlan, “Vedermi alla terza persona. La fotografia di Claude Cahun”  è un volumetto di un centinaio di pagine, simile nella veste grafica ad un quaderno d’altri tempi (copertina nera e bordi rossi), ma è soprattutto la prima monografia pubblicata in Italia dedicata a questa singolare artista, il cui talento troppo a lungo è rimasto misconosciuto.
Ne è autrice Clara Carpanini, che proprio per questo lungo saggio,  nella sua forma di tesi di laurea, ha ricevuto nel 2005 il Premio DAMS per la sezione Arte.

Introdotto da una interessante prefazione di Federica Muzzarelli, (che di Cahun si era occupata nel suo “Il corpo e l’azione. Donne e fotografia tra Otto e Novecento”),  il libro è articolato in cinque capitoli strutturati secondo una logica non diacronica, che mette in luce soprattutto le profonde relazioni esistenti fra la multiforme attività di Lucy Schwob (vero nome dell‘artista) e le istanze della sua epoca.
Così Carpanini  fra il capitolo che rende conto delle molteplici ascendenze letterarie, prima fra tutte quella che lega Cahun al Simbolismo (di cui l’ammirato zio, Marcel Schwob, era stato importante esponente) e quello dedicato alla frequentazione degli ambienti dada e surrealisti, ne inserisce opportunamente uno che traccia la figura di una cosiddetta “new woman”, quale si era diffusa nell’Europa degli anni fra le due guerre.

Continue sono le citazioni dagli scritti di Cahun, i quali forniscono sovente un’importante chiave di lettura per ogni sua espressione artistica, dalla fotografia alla performance teatrale, poiché attingono sempre ad una dimensione intima autobiografica, sia pur trasfigurata da una peculiare forma di linguaggio aperta e destrutturata, quanto carica di componenti visionarie. Elementi questi che avevano fruttato all’artista una grande stima da parte di Andrè Breton.
Allo stesso modo il libro è pieno di rimandi biografici, non meramente accessori, ma funzionali a definire in maniera sempre più stringente l’opera cahuniana nel suo complesso,  e in quella sua particolare complessità, che ha coinvolto l’intera sfera del vissuto dell’artista.
Particolare attenzione è stata riservata, inoltre, al sodalizio artistico e sentimentale con la compagna di una vita Suzanne Malherbe (Marcel Moore), alla luce del quale gran parte dell’opera fotografica si rivela probabile frutto di un lavoro comune.

“Vedermi alla terza persona” si rivela, perciò, un ottimo strumento sia per quanti si avvicinano per la prima volta alla figura di Cahun sia per quanti la conoscono già, e perché si sforza di tracciare un quadro quanto più possibile completo e perché fornisce una nutrita bibliografia.
Dalla sua lettura emerge la figura di un’artista figlia dei propri tempi ed insieme anticipatrice, di gran lunga più interessante della profetessa del gender bender, che altrove si è spesso propagandata.